Milano, Teatro alla Scala – Don Giovanni
conessiallopera.it
16.05.2017
Stefano Balbiani
L’aveva già intuito Søren Kierkegaard, quando scrisse nel suo saggio Gli stadi erotici immediati ovvero il musicale erotico: “Con il suo Don Giovanni Mozart rientra in quella piccola schiera immortale di uomini, il cui nome, la cui opera il tempo non dimenticherà, dacché l’eternità se ne rammenta”. Effettivamente Don Giovanni, dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte, è uno dei titoli più noti di Wolfgang Amadeus Mozart, amato dal grande pubblico e rappresentato con maggior frequenza. In questi giorni, e fino al 6 giugno, torna al Teatro alla Scala nell’edizione che ha inaugurato la stagione 2011/2012, con un cast completamente rinnovato e di alto livello.
Nel pensiero di Robert Carsen, il protagonista è un trasgressivo, un esistenzialista, un libero pensatore amante della libertà e del caos, privo di regole e continuamente mutevole, inafferrabile e inconoscibile nella sua essenza, nonché una forza vitale che irradia tutto ciò che lo circonda, una figura sensuale e indomabile che non teme nemmeno la morte. Grazie anche alle suggestive scene di Michael Levine – un susseguirsi di sipari in prospettiva, specchi, immagini degli interni del Piermarini – il regista canadese rilegge l’intera vicenda in un’ottica metateatrale, dove Don Giovanni assurge a demiurgo, a regista di ciò che accade sul palcoscenico, in un gioco perpetuo di illusioni e disillusioni, con incursioni dei cantanti in platea e nel palco reale. Nello spettacolo non mancano, poi, elementi di erotismo, come il nudo integrale della cameriera di Donna Elvira o la festa del primo atto, che rimanda in parte alle atmosfere lascive e claustrofobiche della pellicola di Stanley Kubrick Eyes Wide Shut. Inaspettato coup de théâtre nel finale: gli interpreti del sestetto “Questo è il fin di chi fa mal!” sprofondano all’inferno, mentre il burlador li osserva ridendo e fumando una sigaretta.
Di alta fattura i costumi di Brigitte Reiffenstuel, sobri nella loro ricercatezza da haute couture, dominati dalle cromie del rosso, del bianco e del nero; intense e allettanti le luci di Carsen stesso e di Peter van Praet; misurata la coreografia di Philippe Giraudeau.
Sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala, Paavo Järvi predilige una lettura sinfonica, di ampio respiro, poco dionisiaca nelle dinamiche, abbastanza fluida nell’agogica dei tempi. Sin dall’Ouverture, il maestro estone ricerca sonorità trasparenti e morbide, smussandole e levigandole anche nelle parti di maggiore drammaticità, dove magari ci si aspetterebbero toni più materici e corruschi. Una direzione di gran classe, raffinata, puntuale, attenta al rapporto buca-palcoscenico, sorretta da una solida tecnica di scuola nordica. Fantasiosi e nitidi gli accompagnamenti al cembalo di James Vaughan.
Nel ruolo del titolo, il baritono statunitense Thomas Hampson, 62 anni a fine giugno: indubbiamente la voce ha perso in smalto e polpa, suonando a tratti opaca e depauperata; la dizione risulta poi, nei momenti di maggiore concitazione (come l’aria “Fin ch’han dal vino” o il Finale primo), non sempre a fuoco. Intatta resta la linea di canto, nobile e autorevole; Hampson recita poi da padreterno, fraseggiando con intelligenza e delineando un Don Giovanni maturo e sul viale del tramonto, magnetico e camaleontico, elegante nel portamento. Convincente la resa della canzonetta “Deh vieni alla finestra”.
Il basso-baritono Luca Pisaroni si conferma come il Leporello di riferimento dei nostri giorni: vocalità omogenea, di buona cavata e di bel colore, naturale e fluente nell’emissione, si distingue per un’interpretazione disinvolta e comica, da vero mattatore, senza però mai scadere nel grottesco o ricorrendo a fastidiosi cachinni; ineccepibile l’attesa “Madamina, il catalogo è questo”, cantata con verve e gusto.
Affascinante la Donna Anna del soprano tedesco Hanna-Elisabeth Müller: in possesso di uno strumento vocale ambrato che ha il suo punto di forza soprattutto nel registro acuto, corposo e di volume torrenziale, ricorda nel fisico e nell’atteggiamento una diva del cinema di Hollywood. Se nell’aria “Or sai chi l’onore” appare volitiva e smaniosa di vendetta, nel rondò “Non mi dir, bell’idol mio” emerge tutta la rassegnazione del personaggio.
Il soprano tedesco Anett Fritsch disegna, con estrema raffinatezza, una Donna Elvira affetta da nevrosi, psicologicamente fragile, smarrita nel labirinto dei suoi desideri. Notevoli i mezzi vocali, omogenei e luminosi nel timbro, non debordanti ma sempre precisi; toccante la resa del Recitativo accompagnato e Aria “In quali eccessi, o Numi […] Mi tradì quell’alma ingrata”, intrisa di disperazione.
Sugli scudi il Don Ottavio del tenore svizzero Bernard Richter: voce brunita ed estesa, squillante, accompagnata a una pronuncia curata ed efficace e a un buon controllo dei fiati, centra entrambe le arie, “Dalla sua pace” e “Il mio tesoro intanto”, sfumando e rendendo in toto il carattere riflessivo del ruolo.
Deliziosa la Zerlina del soprano Giulia Semenzato: oltre che per la vocalità garbata e cristallina, si distingue per una recitazione maliziosa e fresca, in particolare in “Vedrai, carino, se sei buonino”.
Piace il baritono Mattia Olivieri, un Masetto irruento e impulsivo, vocalmente sicuro e voluminoso, scenicamente scattante ed energico. Autorevole il Commendatore di Tomasz Konieczny, basso-baritono polacco dalla voce possente, scolpita nella pietra, e dalla dizione analitica. Efficienti gli interventi del Coro del Teatro alla Scala, guidato da Bruno Casoni.
Teatro quasi esaurito e festante successo di pubblico, con quasi dieci minuti di fragorosi applausi e manifestazioni di entusiasmo per tutti gli interpreti.
L’aveva già intuito Søren Kierkegaard, quando scrisse nel suo saggio Gli stadi erotici immediati ovvero il musicale erotico: “Con il suo Don Giovanni Mozart rientra in quella piccola schiera immortale di uomini, il cui nome, la cui opera il tempo non dimenticherà, dacché l’eternità se ne rammenta”. Effettivamente Don Giovanni, dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte, è uno dei titoli più noti di Wolfgang Amadeus Mozart, amato dal grande pubblico e rappresentato con maggior frequenza. In questi giorni, e fino al 6 giugno, torna al Teatro alla Scala nell’edizione che ha inaugurato la stagione 2011/2012, con un cast completamente rinnovato e di alto livello.
Nel pensiero di Robert Carsen, il protagonista è un trasgressivo, un esistenzialista, un libero pensatore amante della libertà e del caos, privo di regole e continuamente mutevole, inafferrabile e inconoscibile nella sua essenza, nonché una forza vitale che irradia tutto ciò che lo circonda, una figura sensuale e indomabile che non teme nemmeno la morte. Grazie anche alle suggestive scene di Michael Levine – un susseguirsi di sipari in prospettiva, specchi, immagini degli interni del Piermarini – il regista canadese rilegge l’intera vicenda in un’ottica metateatrale, dove Don Giovanni assurge a demiurgo, a regista di ciò che accade sul palcoscenico, in un gioco perpetuo di illusioni e disillusioni, con incursioni dei cantanti in platea e nel palco reale. Nello spettacolo non mancano, poi, elementi di erotismo, come il nudo integrale della cameriera di Donna Elvira o la festa del primo atto, che rimanda in parte alle atmosfere lascive e claustrofobiche della pellicola di Stanley Kubrick Eyes Wide Shut. Inaspettato coup de théâtre nel finale: gli interpreti del sestetto “Questo è il fin di chi fa mal!” sprofondano all’inferno, mentre il burlador li osserva ridendo e fumando una sigaretta.
Di alta fattura i costumi di Brigitte Reiffenstuel, sobri nella loro ricercatezza da haute couture, dominati dalle cromie del rosso, del bianco e del nero; intense e allettanti le luci di Carsen stesso e di Peter van Praet; misurata la coreografia di Philippe Giraudeau.
Sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala, Paavo Järvi predilige una lettura sinfonica, di ampio respiro, poco dionisiaca nelle dinamiche, abbastanza fluida nell’agogica dei tempi. Sin dall’Ouverture, il maestro estone ricerca sonorità trasparenti e morbide, smussandole e levigandole anche nelle parti di maggiore drammaticità, dove magari ci si aspetterebbero toni più materici e corruschi. Una direzione di gran classe, raffinata, puntuale, attenta al rapporto buca-palcoscenico, sorretta da una solida tecnica di scuola nordica. Fantasiosi e nitidi gli accompagnamenti al cembalo di James Vaughan.
Nel ruolo del titolo, il baritono statunitense Thomas Hampson, 62 anni a fine giugno: indubbiamente la voce ha perso in smalto e polpa, suonando a tratti opaca e depauperata; la dizione risulta poi, nei momenti di maggiore concitazione (come l’aria “Fin ch’han dal vino” o il Finale primo), non sempre a fuoco. Intatta resta la linea di canto, nobile e autorevole; Hampson recita poi da padreterno, fraseggiando con intelligenza e delineando un Don Giovanni maturo e sul viale del tramonto, magnetico e camaleontico, elegante nel portamento. Convincente la resa della canzonetta “Deh vieni alla finestra”.
Il basso-baritono Luca Pisaroni si conferma come il Leporello di riferimento dei nostri giorni: vocalità omogenea, di buona cavata e di bel colore, naturale e fluente nell’emissione, si distingue per un’interpretazione disinvolta e comica, da vero mattatore, senza però mai scadere nel grottesco o ricorrendo a fastidiosi cachinni; ineccepibile l’attesa “Madamina, il catalogo è questo”, cantata con verve e gusto.
Affascinante la Donna Anna del soprano tedesco Hanna-Elisabeth Müller: in possesso di uno strumento vocale ambrato che ha il suo punto di forza soprattutto nel registro acuto, corposo e di volume torrenziale, ricorda nel fisico e nell’atteggiamento una diva del cinema di Hollywood. Se nell’aria “Or sai chi l’onore” appare volitiva e smaniosa di vendetta, nel rondò “Non mi dir, bell’idol mio” emerge tutta la rassegnazione del personaggio.
Il soprano tedesco Anett Fritsch disegna, con estrema raffinatezza, una Donna Elvira affetta da nevrosi, psicologicamente fragile, smarrita nel labirinto dei suoi desideri. Notevoli i mezzi vocali, omogenei e luminosi nel timbro, non debordanti ma sempre precisi; toccante la resa del Recitativo accompagnato e Aria “In quali eccessi, o Numi […] Mi tradì quell’alma ingrata”, intrisa di disperazione.
Sugli scudi il Don Ottavio del tenore svizzero Bernard Richter: voce brunita ed estesa, squillante, accompagnata a una pronuncia curata ed efficace e a un buon controllo dei fiati, centra entrambe le arie, “Dalla sua pace” e “Il mio tesoro intanto”, sfumando e rendendo in toto il carattere riflessivo del ruolo.
Deliziosa la Zerlina del soprano Giulia Semenzato: oltre che per la vocalità garbata e cristallina, si distingue per una recitazione maliziosa e fresca, in particolare in “Vedrai, carino, se sei buonino”.
Piace il baritono Mattia Olivieri, un Masetto irruento e impulsivo, vocalmente sicuro e voluminoso, scenicamente scattante ed energico. Autorevole il Commendatore di Tomasz Konieczny, basso-baritono polacco dalla voce possente, scolpita nella pietra, e dalla dizione analitica. Efficienti gli interventi del Coro del Teatro alla Scala, guidato da Bruno Casoni.
Teatro quasi esaurito e festante successo di pubblico, con quasi dieci minuti di fragorosi applausi e manifestazioni di entusiasmo per tutti gli interpreti.
Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2016/2017
DON GIOVANNI
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
DON GIOVANNI
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni Thomas Hampson
Il Commendatore Tomasz Konieczny
Donna Anna Hanna-Elisabeth Müller
Don Ottavio Bernard Richter
Donna Elvira Anett Fritsch
Leporello Luca Pisaroni
Masetto Mattia Olivieri
Zerlina Giulia Semenzato
Il Commendatore Tomasz Konieczny
Donna Anna Hanna-Elisabeth Müller
Don Ottavio Bernard Richter
Donna Elvira Anett Fritsch
Leporello Luca Pisaroni
Masetto Mattia Olivieri
Zerlina Giulia Semenzato
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Paavo Järvi
Maestro del Coro Bruno Casoni
Maestro al cembalo James Vaughan
Regia Robert Carsen
Scene Michael Levine
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Robert Carsen e Peter van Praet
Coreografia Philippe Giraudeau
Produzione Teatro alla Scala
Milano, 14 maggio 2017
Direttore Paavo Järvi
Maestro del Coro Bruno Casoni
Maestro al cembalo James Vaughan
Regia Robert Carsen
Scene Michael Levine
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Robert Carsen e Peter van Praet
Coreografia Philippe Giraudeau
Produzione Teatro alla Scala
Milano, 14 maggio 2017
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